Di cosa parliamo quando parliamo di cambiamento in psicoterapia?
Molte, direi moltissime persone convivono con una grande varietà di sintomi. C’è chi ha paura degli animali, del chiuso, degli spazi aperti, del parlare in pubblico, c’è chi invece parla in modo eccessivo e non tiene conto del contesto, chi tende a svalutarsi, chi a credersi superiore a tutti o comunque a molti altri esseri umani, chi mangia troppo, chi troppo poco, chi rimanda decisioni importanti e chi le prende in modo precipitoso, chi ha difficoltà ad instaurare una relazione, chi a lasciarne andare una dannosa, chi ha problemi sessuali, chi di insonnia, chi è depresso, chi prova tanta rabbia, chi ha difficoltà a ritrovare un equilibrio dopo un lutto, chi lavora troppo, chi non riesce a lavorare…anche continuando, l’elenco potrebbe comunque non essere esaustivo.
In genere le persone chiedono un aiuto psicologico quando il sintomo ostacola in modo significativo lo svolgersi della vita nei vari contesti: relazionali, di lavoro, sociali e in molti chiedono una psicoterapia quasi sconfitti dal sintomo, dal problema: “ho provato di tutto per superare… e non ci sono riuscito”.
Come mai? Perché tutto quello che una persona può mettere in atto per liberarsi di un sintomo è una strategia cognitiva che non tiene conto della funzione che quel sintomo svolge proprio per quella persona. Il sintomo possiamo dire essere una “strategia di sopravvivenza” messa in atto in seguito ad un’esperienza o ad un insieme di esperienze, vissute soprattutto in età infantile, che hanno richiesto un apprendimento emotivo per fronteggiare un problema che include il sintomo.
Il nostro cervello compie delle previsioni per adattarsi al meglio alle situazioni di vita e quindi si basa sull’esperienza per rispondere in modo adattivo a quello che sta per succedere, cioè legge i dati con l’esperienza passata e questa è una funzione normale, del tutto adattiva.
Le recenti scoperte evidenziano la sua possibilità di rivedere gli apprendimenti emotivi che sostengono il sintomo e di trasformarli rendendoli più aderenti alla realtà attuale.
Oggi la Coherence therapy, con il supporto delle neuroscienze, ci offre la possibilità di comprendere in modo specifico quali siano le sequenze di esperienze che il cervello richiede per produrre un cambiamento profondo e duraturo, sono le sequenze che caratterizzano le fasi del riconsolidamento terapeutico. Su questa base, cioè sulla sequenza di fasi del processo di riconsolidamento, è anche possibile confrontare ed integrare i vari modelli che perseguono un cambiamento trasformativo, cioè un cambiamento per cui il sintomo non abbia più motivo di svolgere la sua funzione e pertanto viene abbandonato.
Ma cosa s’intende per “riconsolidamento terapeutico”?
S’intende quel processo per cui si rende possibile accedere, attivare un apprendimento, tutto quello che si è costruito intorno ad un’esperienza del passato e rendere tale apprendimento emotivo di nuovo consapevole e integrabile nell’esperienza quotidiana.
Il sintomo diviene significativo, non più solo un fastidio di cui liberarsi al più presto, ma un comportamento che s’inserisce in un vissuto e che può essere abbandonato se una nuova esperienza, del tutto discordante con quella iniziale, viene giustapposta a quella primitiva.
Il cervello infatti non può considerare vere due realtà discordanti, deve fare una scelta.
Il processo del “riconsolidamento”, cioè dell’accesso e della presa di consapevolezza di un apprendimento, di un’esperienza antica che richiede il sintomo, diviene “terapeutico” quando l’apprendimento primitivo, integrato nel presente, viene smentito da un’esperienza del tutto opposta.
La Coherence Therapy parte quindi dal presupposto che il sintomo, qualsiasi esso sia, riflette una strategia, la migliore che una persona abbia trovata, spesso in età molto precoce, per garantirsi la sopravvivenza psicologica, a volte anche quella fisica, all’interno del contesto familiare e sociale in cui quella persona è cresciuta.
Un sintomo, per quanto debilitante, provoca una sofferenza minore di quella che si avrebbe senza il sintomo, cioè il sintomo è in un certo senso preferibile al vissuto emotivo provocato da quella o da quelle esperienze, è un modo per fronteggiare esperienze difficili.
Questo è il presupposto che guida l’azione terapeutica. Quindi all’interno di un’alleanza empatica e sintonizzata il terapeuta conduce il cliente alla riscoperta di quegli schemi centrali, di quella specifica interpretazione della realtà che sostiene il problema e lo guida attraverso le fasi del riconsolidamento della memoria o terapeutico processo che, come già detto, consente di accedere, attivare e quindi cancellare quell’apprendimento emotivo che non era più accessibile alla consapevolezza.
La Coherence Therapy, forte di questa salda base teorica, offre delle tecniche che consentono l’accesso agli apprendimenti primitivi, di cogliere all’interno di quell’esperienza la coerenza del sintomo, di portarli alla consapevolezza.
Quindi tali esperienze, confrontate con un’esperienza incompatibile, possono essere trasformate e con loro il sintomo.
In sintesi è questo il processo del riconsolidamento terapeutico, processo che si ripete non essere estraneo ai modelli che perseguono un cambiamento trasformativo. Gli Autori della Coherence, cito Ecker in particolare, hanno sistematizzato tale processo, utilizzando anche dati tratti dall’esperienza clinica e lo hanno reso più accessibile e fruibile sia per i terapeuti che per le persone che chiedono aiuto oppresse da un sintomo da cui fanno fatica ad allontanarsi.
[1] L’autrice ringrazia la Prof. Laura Bastianelli per la gentile e accurata revisione del presente lavoro