Quando una persona si rivolge ad un terapeuta ha spesso già fatto “tutto il possibile” per risolvere il suo problema, sia esso un sintomo (fobia, ansia, attacchi di panico, insonnia, problema sessuale…), un problema in ambito relazionale o lavorativo, una scelta importante. Di solito una persona adotta diverse “strategie” per evitare di ripetere situazioni già vissute o il ripresentarsi del sintomo e spesso affida la soluzione di una difficoltà ad un consiglio, oppure rimanda, evita, nega.

E’ esperienza piuttosto comune che prima o poi la persona sperimenterà di nuovo quel disturbo, si ritroverà a vivere una relazione che somiglia alla precedente o avrà difficoltà a iniziarne di nuove e la nuova scelta è solo più angosciosa della precedente
Eric Berne (10 maggio 1910 – 15 luglio 1970), fondatore dell’ Analisi Transazionale, ha delineato la teoria del copione di vita per spiegare in che modo le persone possano, senza volerlo e senza riuscire ad impedirselo, trovarsi in situazioni problematiche e in che modo possano indirizzarsi per risolverle riscoprendo la spontaneità, l’intimità, l’autonomia.
Berne ha definito il copione in Ciao!…E poi? “Un piano di vita che si basa su una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi e che culmina in una scelta decisiva”.
Autori successivi di AT sottolineano che ciascuno di noi scrive il proprio copione di base nei primissimi anni di vita, addirittura prima della comparsa del linguaggio. Più avanti nell’infanzia aggiungeremo altri dettagli alla nostra storia, che sarà rivista ulteriormente durante l’adolescenza.
L’Analisi Transazionale aiuta la persona a cogliere il significato profondo della propria difficoltà e a quali “decisioni di copione” essa è vincolata. E’ un modello terapeutico che fa parte della Psicologia umanistica, di tipo esperienziale, ciò vuol dire che consente di riattualizzare in una situazione protetta le esperienze dolorose del passato fornendo un’esperienza emozionale correttiva in direzione di più positivi sviluppi futuri.
Questo è un punto che mi sembra importante sottolineare: il “problema” – in questa prospettiva teorica – è una porta aperta sul mondo interiore della persona, permette di cogliere il senso che ha nell’ambito dell’organizzazione globale della personalità e quale sia il cambiamento necessario perché la persona possa riprendere il suo sviluppo creativo.

Il cambiamento desiderato dalla persona e condiviso dal terapeuta è un momento fondamentale del processo terapeutico e prende il nome di Contratto.
Per quale motivo utilizzare un “contratto”? Nell’ottica della psicologia umanistica il terapeuta e la persona che chiede aiuto si rapportano su una base di parità: spetta alla persona che chiede una terapia decidere cosa vuole dalla propria vita e quale cambiamento effettuare, compito del terapeuta è quello di aiutare la persona -utilizzando le proprie competenze professionali – ad ottenere il cambiamento desiderato.
I primi anni di vita, che abbiamo visto essere così formativi per la personalità umana, possono essere contrassegnati da “esperienze traumatiche”: situazioni che possiamo riconoscere francamente come “traumatiche” ( violenze, abusi, interventi chirurgici…) ed altre forse meno evidenti, ma che possono essere ugualmente disturbanti per la vita di una persona.
Il “trauma”, infatti, può riferirsi sia ad un’esperienza in cui la persona ha vissuto una situazione di pericolo per se stessa, oppure ha assistito o si è confrontata con un evento in cui un’altra persona ha subito questo tipo di esperienza, sia a situazioni che possono sembrare di minore entità “traumatica”, ma che- avvenute in età infantile – possono aver assunto un significato particolarmente negativo per una personalità in età evolutiva contribuendo allo sviluppo di difficoltà psicologiche in età adulta.
Relazioni violente o in cui il bambino viene costantemente disconfermato o non compreso, insuccessi, situazioni umilianti, tradimenti…se protratti e ripetuti nel tempo possono rappresentare una minaccia per l’integrità psicologica della persona, soprattutto in età evolutiva ed evolvere successivamente in ulteriori disturbi. Tali situazioni possono comportare il formarsi di un Copione di vita in cui vengono ripetuti i fallimenti relazionali, gli insuccessi, la sofferenza psicologica (in modo diretto o attraverso un sintomo) di cui si è fatta esperienza nella prima infanzia.
Mi sono avvicinata alla terapia EMDR proprio per poter intervenire in modo specifico sulla memoria del trauma.
EMDR è l’acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari); desensibilizzazione nei confronti del ricordo dell’evento traumatico, rielaborazione a livello emotivo, cognitivo e corporeo.
Il lavoro con l’EMDR è un lavoro sul ricordo che sfrutta il naturale sistema di elaborazione adattiva dell’informazione. Secondo questo modello le informazioni collegate al trauma vengono bloccate in reti neuronali che mantengono le stesse convinzioni , emozioni e sensazioni fisiche che si erano attivate al momento dell’evento.
Pertanto l’intervento EMDR si focalizza sul ricordo disturbante per riattivarne e completarne l’elaborazione interrotta con importanti cambiamenti nell’idea di Sé, degli Altri, della Realtà.Questi cambiamenti facilitano e incoraggiano profonde revisioni del copione di vita e la ripresa di uno sviluppo creativo della personalità.
Presupposto fondamentale per un’Analista Transazionale è incontrare la persona non il sintomo o il problema ed anche integrare diversi modelli teorici non come mero esercizio intellettuale, ma per meglio aiutare le persone ad attuare il cambiamento desiderato.
Riferimenti bibliografici:
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