Ulisse approda sull’isola dei Feaci e, sulla spiaggia, incontra Nausicaa e le sue ancelle che, attratte e incuriosite dallo straniero, lo conducono a corte, da Alcinoo, il Re (Canto VI-VII).
Alcinoo offre un magnifico banchetto in onore dell’ospite, di cui nulla conosce. E qui accade qualcosa di molto particolare: l’aedo Demodoco inizia a rievocare gli ultimi eventi della guerra di Troia, senza sapere chi fosse l’ospite per il quale narrava. Ulisse è molto turbato e chiede al cantore di raccontare lo stratagemma del cavallo. L’aedo, con grande maestria, ricorda l’intera vicenda: la finta partenza, il dono del cavallo, le perplessità dei troiani, che comunque lo trascinano in città, la devastazione della rocca ad opera degli Achei nascosti nella pancia del cavallo. Ascoltando la narrazione delle sue stesse gesta, Ulisse si rende conto davvero dell’impresa compiuta e in quel momento l’eroe, il valoroso guerriero Acheo che aveva sfidato mostri e dei, affrontato mille pericoli, percorso tutti i mari conosciuti si commuove e piange profondamente. Solo in quel momento, ascoltando la narrazione delle sue gesta, Ulisse si rende conto delle vicissitudini di cui è stato protagonista, dei rischi che ha corso e di chi egli sia, di chi è.
Il pianto di Ulisse colpisce Alcinoo, che chiede al suo ospite di svelarsi. A quel punto Ulisse, che non può e non vuole più nascondersi, inizia a narrare a sua volta e a rivelare la sua storia e la sua identità.
E’ la narrazione che “svela” l’identità di Ulisse, è la narrazione che lo commuove, è la narrazione nella quale si rispecchia che gli consente di ritrovare il senso, il significato del suo essere lì, eroe responsabile della fine di una gloriosa città, navigatore esperto ed ora profugo in cerca di aiuto per poter finalmente tornare a casa.
La narrazione, la storia permette ad Ulisse di riconoscersi, ad Alcinoo di chiedere: “Chi sei?”, ed è la narrazione, la storia che consente anche a ciascuno di noi di porsi la prima fondamentale domanda:
“Chi sono io?”.
Interrogarsi sulla propria identità significa venire a contatto con una parte unica e irripetibile del Sé, ma anche saper “tenere insieme” e “far dialogare” aspetti diversi del proprio essere, riuscendo a dare loro coerenza.
Ulisse nel racconto è il profugo senza risorse, il più astuto dei guerrieri, l’uomo che piange le disgrazie proprie e del suo popolo.
Inoltre la narrazione assolve ad un’ulteriore funzione di fondamentale importanza legata all’identità personale: evidenzia il sapersi trasformare, l’evolvere, il cambiare pur rimanendo se stessi.
La Psicoterapia propone un confronto diretto, un contatto con la narrazione della propria storia all’interno di una relazione e, nel caso della Libroterapia, con l’ausilio di opere di narrativa e all’interno di un gruppo. La narrazione risponde al bisogno intrinseco dell’uomo di dare significato alla realtà che vive, a ciò che esperisce e a ciò che sente a livello emotivo.
Il contatto con le storie permette a ciascuno di noi di essere come Ulisse tra i Feaci, uno sconosciuto al cospetto della propria storia.
Rispecchiarsi nelle storie e riappropriarsi dei significati della propria è definirsi e dare un senso al mistero che abita in ciascuno di noi, al mistero che colora il nostro rapporto con il mondo.